Sull'orlo della separazione

Dei letti. Anzi, delle camere proprio: io con quel plantigrado non ci dormo più. Già i nostri ritmi sono divergenti: lui si addormenta al calar del sole e si alza con le galline, io leggo per ore di notte, mentre al mattino sono incosciente almeno fino alle sette. 
Se con l'acquisto di un e-book reader abbiamo risolto questo annoso problema, per le nostre incompatibilità termiche non c'è che una soluzione. La separazione. 
Dopo alcune discussioni al calor bianco, che hanno scaldato ulteriormente le nostre notti nel periodo più torrido dell'anno, la sottoscritta ha scelto la via del pragmatismo. Lo lascia a dormire in obitorio - così il gaglioffo ha ribattezzato la nostra camera da letto - mentre lei approfitta della stanza lasciata libera dal filosofo. 
Il quale, sia detto per inciso, è strafelice di stare dove sta: si diverte, sta facendo un sacco di conoscenze interessantissime e il lavoro lo entusiasma. Insomma, la trasferta orientale sta avendo pieno successo. 
Tornando ai vecchi genitori, la mia fuga è stata accolta con polemica indifferenza la prima notte - avevamo litigato - con perplessità la seconda - se non abbiamo litigato, perché non dorme con me...? - con scoramento la terza. 
Ieri sera, dunque. A fronte di una temperatura accettabile ovunque, il nostro affermava di non sopportare l'umidità. Dopo tre ore di vento artico, la nostra camera era un frigorifero. In bagno, poi, si gelava. 
L'amato e amante consorte allunga una mano verso di me, che sgabbio rapida, m'impadronisco di un dischetto di cotone e mi strucco alla velocità del fulmine. 
"Che cosa fai?"chiede lui, con aria innocente.
"Come, cosa faccio? Mi strucco! Giuseppe, per favore..." mi spazientisco io.
"No, perché mi sembri nervosa..." afferma, incerto. 
"Non sono nervosa. Sono irrigidita dal freddo. Se non mi sbrigo a uscire di qui, passo dalla rigidità al rigor mortis!"
Con il senso di colpa dipinto in faccia, l'uomo prende il telecomando della macchina infernale e compie un atto che, fino a qualche giorno fa, era impensabile da parte sua. Spegne il soffio mortale. 
Peccato che, per ripristinare una temperatura accettabile, ci vorrebbero ore. Senza contare che lui, tra due gradi, ricomincerà a dare in escandescenze. 
"Dai, dormi qui con me..." implora. 
"Per favore, dacci un taglio. Non sono una foca: se mi addormento qui, sarà per sempre. Siccome tu sei adattato al clima artico dell'ospedale, stai qui con il tuo amato congelatore in funzione, dormi sereno, io me ne vado di là che sto benissimo." dico, afferrando il mio cuscino e uscendo di scena. 
Dopo qualche minuto, mi sovviene di dovergli dire una cosa urgente, e mi affaccio alla sua camera per comunicargliela. 
Mi guarda con la faccia da cocker e bela: "Ma ho spento il condizionatore..."
"Basta. Fa freddo! Riaccendilo pure, perché tanto io qui non ci torno. Fattene una ragione!"
Alla fine si è arreso. Stamattina era di umore normale, mi ha salutato come se fossi tornata da una guerra. mi ha preparato la colazione ed è partito, prima delle otto, per rituffarsi nel gelo ospedaliero. 
Le mie defezioni notturne gli spezzano il cuore, ma non posso capitolare. Qui si tratta di morire per amore... Un po' troppo. Persino per me. 

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