Moglie di medico

Ora, è un ruolo anche quello. Sebbene poco portata a recitarlo, una dovrebbe riuscire a mantenere un briciolo di dignità, nel tentativo di espletare i suoi doveri coniugali. Dopotutto, si tratta di cucinare di tanto in tanto un pranzo o una cena, oppure di presentarsi da qualche parte appesa al braccio del marito, esibendo un aspetto sufficientemente curato.
Roba di poco conto, all’apparenza.
Per quanto concerne i pasti, fatemi spignattare anche per una giornata intera: sarò nel mio elemento e mi sentirò felice e realizzata. Peccato che, in seguito, io debba anche servire quello che ho allestito: e lì iniziano i guai. La mia inveterata imbranataggine mi porta a combinare sempre qualche catastrofe: negli ultimi due giorni, ho rovesciato un bicchiere di Recioto sulla tovaglia pulita, mandato in frantumi una teglia di coccio (per fortuna, la teglia è morta prima dell’arrivo degli ospiti: ho potuto far sparire le tracce dell’accaduto all’insaputa di tutti) e innaffiato di prosecco pavimento, tappeto e, ahimè, la cugina preferita di mio marito.
L’ho colpita a distanza, con un getto a parabola degno di un tiratore di precisione.
E meno male che è la nostra preferita: non lo fosse stata, c’è da domandarsi come l’avrei trattata. A pesci in faccia, probabilmente. In senso letterale.
Nonostante le mie deludenti performance, amici e parenti sono tutti indulgenti ed amorevoli con me.
Sabato sera mi hanno riempita di regali:






Quando quei tesori dei nostri amici pensano a qualcosa per noi, ci mettono proprio il cuore. Ne ho le prove: 


Quanto a mio marito, sta valutando sempre con maggiore insistenza di portare amici e colleghi a mangiar fuori, quando serve: se hai una moglie che sembra la controfigura dell’ispettore Clouseau, come fai a fidarti di lei?
Tra parentesi, la sottoscritta è inaffidabile anche come donna-immagine. E non solo per motivi anagrafici, ahimè.
Venerdì sera: “Preparati, che andiamo. Non mi far arrivare tardi!”
“Maddai, esagerato… C’è sempre il quarto d’ora accademico, no…?”
Mi preparo, e arriviamo (quasi) in orario. Appena appena un cinque minuti di ritardo.
Ebbene, sono riuscita a farlo tardare all’unico convegno sulla faccia della terra iniziato in orario perfetto. Un’organizzazione prussiana, contro la quale il mio approccio naif alle cose si è infranto miseramente.
Incenerita da uno dei suoi peggiori sguardi jurassici, l’ho seguito mogia mogia per le scale, fino a raggiungere gli ultimi due posti vuoti rimasti a teatro. Praticamente in piccionaia.
Dopo il chilometro lanciato che mi ero fatta, in equilibro sul tacco, non vedevo l’ora di sedermi. Facendo appello all’ultimo brandello di dignità rimastomi, ho salutato con un sorriso il signore seduto accanto alla poltroncina da me prescelta, ho sfilato il soprabito, consegnandolo al marito, e mi sono accomodata, accavallando le gambe.
Chissenefrega se non è da lady: tanto, chi mi vedeva, al terzo piano, rinchiusa in un palchetto d’angolo?!
Il Doc, purtroppo.
Il quale Doc punta l’occhio verso i miei arti inferiori, scuotendo sconsolato la testa.
Lo interrogo con lo sguardo, ottenendo una decisa intensificazione del disappunto sul suo viso, mentre mi indica con un gesto la mia gamba sinistra.
Calza smagliata.
Mannaggia a me, che non mi ricordo mai di portarmi un cambio in borsetta…
Così, dopo aver compiuto immani sforzi per ricondurre alla ragione i ciuffi sconvolti dall’umidità e aver rivoluzionato l’intero guardaroba per trovare l’abito giusto (l’unico che mi ero dimenticata di tirar fuori all’atto del cambio di stagione, va da sé…) ho finito la serata con un’autostrada a tre corsie tracciata sulle velatissime nere.
Non ho il fisico per queste cose: sono dannosa e impresentabile.
Meglio che chiuda qui la mia carriera di moglie da esterni, per dedicarmi a lavori di cucito e maglieria, rigorosamente indoor. Forse questa è la soluzione meno pericolosa per tutti, soprattutto per il mio sfortunato consorte. 

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