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Visualizzazione dei post da giugno, 2012

Cura d'urto

La cura in apparenza inizia a funzionare: dopo giorni e giorni trascorsi in giardino, ginocchioni, a strappare erbacce, il gaglioffo si sta rendendo conto che l’alternativa allo studio può comportare uno spargimento di sudore ben più copioso. La cosa è avvalorata anche dal mio atteggiamento inflessibile: se dopo due ore di attività il giovane rientra, desideroso di una doccia e di un po’ di meritato – secondo lui – riposo, la qui presente aguzzina lo ricaccia all’aperto. Quattro ore di lavoro, o niente riconoscimento economico: da quando il fatto di essere stanchi è motivo sufficiente per abbandonare il posto di lavoro? Fosse così, le fabbriche sarebbero ferme, gli uffici silenziosi, i cantieri immoti. Forte – o fortificato – dall’esperienza, il gaglioffo sta riconsiderando il suo atteggiamento nei confronti di libri e quaderni: è già riuscito a consegnarmi un elaborato d’Italiano accettabile. Se non altro, non oppone più una strenua resistenza passiva a ogni mio tentativo d

Tutto storto

La vita davvero a volte è tutta in salita. Cento fronti sono aperti: per uno che si chiude al meglio, altri dieci si riattivano, più incalzanti che mai. Alcuni spiragli di luce fendono il buio, in altri casi l’orizzonte si chiude, come dietro la grata di una prigione. Vedi persone attorno a te – persone amatissime – che non trovano più l’energia necessaria per affrontare l’ennesima prova, altre completamente inadeguate al loro compito, che danneggiano – senza volerlo – le incolpevoli creature affidate alle loro cure. Invochi la pace, almeno per quelli ai quali vuoi tanto bene: inutilmente, purtroppo. E devi trovare le parole per non farli sentire soli. Almeno. A volte vorresti combattere una guerra, ma capisci che non ne hai il tempo né modo: così l’attesa, per quanto dolorosa, è l’unica scelta possibile. Ed è l’unico comportamento che puoi suggerire anche agli altri. Peccato che per rimanere fermi, senza cadere in ginocchio, ci voglia più forza che a muoversi. Anche per

Foto di famiglia

Venerdì pomeriggio: Mpc e la Miss, assieme per un’oretta di shopping. Sguinzagliate in un negozietto di abitini low cost, molto molto carini però, siamo lanciate in battuta di caccia. La Miss prova una tunichetta a balze, rossa, che pochi esseri umani potrebbero indossare senza apparire la controfigura di un paralume. Si osserva critica allo specchio, mentre la commessa e mammina si abbandonano a una entusiastica standing ovation, decide Approvato! e fa per toglierselo. Da dietro la tenda, escono alcune esclamazioni soffocate, un silenzio preoccupante e un pigolio “Aiuto…”: la fanciulla non riesce a districarsi dalla trappola di stoffa. Impossibile sfilarsela senza una collaborazione esterna: eccola dunque saltellare dal suo camerino al mio, per farsi spogliare. Una volta in mutande e reggiseno, mi fissa costernata: “E adesso come ci arrivo ai miei vestiti?” si domanda. Butta l’occhio al di fuori del camerino: il negozio è deserto. “Insomma, le commesse sono tutte donne… Potrei

Cena sociale

Convinta dalla Miss, mi sono fatta invischiare nella cena sociale della nostra palestra, coinvolgendo nell'iniziativa anche una delle mie più care amiche. Purtroppo per lei. Prima difficoltà: scovare il locale. Mimetizzato tra casette a schiera perse tra i campi di mais,  era quasi introvabile. Raggiunto in qualche modo ‘sto posto, non siamo stati subito ammessi al suo interno: disposti tutti in cerchio come un gruppo di auto-aiuto, sorridendoci l’un l’altro con malcelato imbarazzo, ci hanno tenuti in piedi più di un'ora in giardino, senza nemmeno un grissino o un prosecchino di primo conforto. In seguito, siamo stati sospinti in massa nella sala a noi riservata, una stanza scavata nel sottosuolo: ottanta persone, senza ricambio d’aria né impianto di condizionamento. Ben presto, eravamo più madidi delle bottiglie d’acqua sui tavoli. E qui è iniziata la più estenuante maratona alimentare mai provata nella vita: tra le dieci e le due di notte (!) si sono susseguite una p

Jurassico in law

Ovvero, con licenza poetica, Jurassico e la legge. Ieri il nostro era convocato come teste in tribunale: doveva rispondere a una serie di domande in qualità di neurologo. Robe che succedono, se fai il medico. Innervosito come una vespa, l’uomo vagava all’alba tra camera da letto e bagno, emettendo lamenti ed alti lai: “Che mi chiamano a fare, non c’è proprio nulla che io possa aggiungere alla mia diagnosi ( obiettività neurologica negativa , per la cronaca) , basterebbe guardassero il referto da me firmato…” e via protestando. In qualche modo, si prepara, inforca lo squalo e si avvia, più scuro in volto di un temporale. Dopo l’udienza, dovrà tornare in ospedale a fare non so che: vi lascio immaginare con quanto entusiasmo si allontana dal reparto sapendo di avere qualcosa in sospeso. Passano svariate ore, durante le quali non dà segno di vita. Verso mezzogiorno, abbiamo uno scambio di sms, nei quali m’informa di essere capitato in una situazione a metà tra una puntata di