La parola a Jurassico


Ieri, dunque, abbiamo ricordato un grande amico di Jurassico: un amico fidato, uno di quelli sui quali poteva far conto sul serio, uno dei suoi pochissimi amici veri.
E’ dura perdere un amico all’improvviso, ed è ancora più dura quando vorresti aver potuto fare qualcosa per prevenire un simile, tragico evento. E’ terribile non aver potuto salvare qualcuno cui vuoi tanto bene, quando il tuo mestiere è salvare la vita agli estranei.
Ieri non ce l’ha fatta a parlare, Giuseppe.
Non è riuscito ad andare al microfono e a dar voce ai suoi pensieri: probabilmente non sarei stato nemmeno capito, mi ha detto.
Forse ha ragione: mio marito è un uomo dai sentimenti profondi, ma non sono molte le persone che lo intuiscono. Le sue modalità espressive dell’affetto non sono mai comuni, consuete: bisogna saperlo interpretare. A volte è un’impresa: ma a Loris quest’impresa riusciva. Si capivano, quei due, forse proprio perché si assomigliavano, così schivi e ombrosi, ma con un cuore grande così.
Così, ho chiesto a mio marito di dirlo a me, il suo pensiero: per trasportarlo qui, in modo che non resti celato lì dentro per sempre.

Il mio doppio con Loris

Il tennis è uno sport che ti dà un’opportunità unica: quella di giocare in coppia con un altro. Arrivare a giocare il doppio con Loris era un’impresa: lo dovevi corteggiare, manco fosse stato una donna da sposare. E, in effetti, il doppio è un po’ come un matrimonio: per farlo funzionare, bisogna lavorarci in due. Il tuo compagno deve essere compatibile con te, più o meno al tuo livello (altrimenti uno dei due deve far tutto da solo), bisogna capirsi e definire bene i ruoli reciproci. Persino la posizione in campo è importante: ognuno dei due tende a mettersi dalla parte del suo colpo migliore. Con Loris eravamo la coppia perfetta: io mancino, lui forte sotto rete. Quando eravamo in vena, eravamo davvero forti assieme.
Loris era bravo, ma ombroso: qualche volta iniziava a sbagliare, e allora s’incupiva.
Come nel matrimonio, se uno dei due entra in difficoltà sta all’altro sostenerlo: mai cedere alla tentazione di scaricare l’uno sull’altro la colpa del pessimo andamento della partita. Spesso le cose vanno proprio così: chi sbaglia accusa il compagno di non aiutarlo per nulla, anzi, di provocare i suoi errori, mentre l’altro si infuria per gli svarioni della controparte.
Accuse più controaccuse, uguale partita persa.
Quando lo vedevo indeciso, e iniziavo a scorgere quell’ombra sul suo viso, raddoppiavo i miei sforzi: cercavo di recuperare, per rincuorarlo. Funzionava quasi sempre: si riprendeva, ricominciava a giocare bene (com’era nelle sue non comuni capacità) e vincevamo la partita.
Eravamo proprio una bella coppia, in campo. Quel campo dove è crollato, quel campo che non so quando avrò la forza di calpestare di nuovo. Ciao, amico. Mi mancherà, il doppio con te.

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