Thriller nights

Di nuovo. Se i figli per un giorno mi lasciano in pace, ci pensano i gatti a farmi ammattire.
I micetti grigi sono stati definitivamente trasferiti all’aperto. Dopo qualche giorno di disorientamento, pianti disperati e tentativi di suicidio via vasistas, si sono rassegnati. Allo stato, sembrano apprezzare le fantastiche opportunità offerte da un’attività fino a oggi sconosciuta: il free climbing. Sempre a caccia di qualcosa – mosche, lucertole, volatili – s’inerpicano su alberi e pali, trasferendosi poi su tetti, terrazzi e balaustre varie.  Peccato siano due imbranati cosmici: cosa che ci ha già causato due fuoriprogramma, con annesso cardiopalma da parte di mammina. Io faccio la dura, ma quando uno dei miei “piccoli” – quadrupedi e non – è in difficoltà, vado in pappa.
Episodio uno, risalente all’altro ieri: micia-missing.
Dalle ventidue in poi, la gentilgatta non risulta più reperibile. Me ne accorgo quando vado in giardino per catturarli, allo scopo di rinchiuderli al sicuro almeno di notte: fatico molto, a metabolizzare la raggiunta indipendenza dei giovani. A qualsiasi specie appartengano.  
Il fratello di star chiuso in casa tutto solo non ne sente, motivo per il quale non appena dischiudo la porta, per vedere che ha da strillare, fugge a zampe levate, raggiungendo in tre balzi la libertà. Accetto la sua decisione e abbandono le bestie al loro destino. Tanto, mi pare il raggio d’azione delle loro scorribande non vada oltre i trenta metri.
Il mattino successivo, alle cinque sono in piedi, sveglia come un canarino. E alle cinque e tre minuti sono già fuori, a cercare i miei bambini: Maschietto si viene subito a strusciare sulle mie gambe e divora la sua colazione di buon appetito. Di lei, traccia niuna.
Dopo quasi dodici ore di assenza e due pasti saltati, dichiaro il felino ufficialmente scomparso: e metto il lutto. Jurassico, a sua volta, protesta vivacemente: “Insomma, uno se li alleva, se li coccola, si fa distruggere la casa, e poi dopo due giorni fuori, quelli spariscono!”
Il gaglioffo, meditabondo, sentenzia: “E’ la selezione naturale! Si vede che lei non era destinata a sopravvivere…” per poi andare a scuola, scuotendo la testa.
Mezza famiglia in gramaglie, l’altra metà lo sarà, non appena apprenderà la notizia.
In tarda mattinata, a sorpresa, odo un miagolio lontano: tendo l’orecchio, mentre il gatto si piazza diretto sotto le finestre dei vicini, modulando un richiamo particolare. In risposta, il miagolio lontano si fa più distinto: la riconosco. E’ lei. Quella è rinchiusa in casa d’altri, da mezza giornata almeno: chissà i disastri che ha combinato…
Con un brivido, suono il campanello dei confinanti: dopo due minuti, scortata dalla signora, sono costretta a eseguire una perquisizione nella sua camera da letto, sbirciando dentro gli armadi, sotto poltrone, mobili e letto. Non si riesce a capire dove si sia nascosta, la bestiaccia. Intanto, quella frigna, ma di uscire non se ne parla.
Finalmente, spostando il letto, la staniamo: la prendo in braccio, terrorizzata e tutta unghie, portandola fuori di lì, con tante scuse alla gentilissima signora, la quale – bontà sua – non fa che ripetermi di considerare casa sua come fosse casa mia. Vorrei morire, per l’imbarazzo.
Non contenta, la signorina, non appena vede il cancello di casa sua, mi pianta le unghie addosso, si divincola e si lancia a terra, lacerandomi la camicetta, dall’energia che ci mette. Due secondi dopo, finalmente di nuovo insieme al fratello, sta giocando come nulla fosse accaduto. Io, nel frattempo, mi medico le ferite: quelle del corpo e, soprattutto, quelle dell'anima. 'Ste cose mi ammazzano, mannaggia.
 La sera successiva, va in onda l’episodio numero due: sempre dando la scalata a un albero, è il maschio a raggiungere – di nuovo – la terrazza della casa accanto. Non c’è nemmeno bisogno di dire che la casa è la stessa.
Disperato, perché non sa più tornare indietro, piange come un vitello: essendo sera inoltrata, stavolta non suoniamo alla porta. Con l’assistenza morale del nostro dirimpettaio, molto preso dalla vicenda, Davide e io pigliamo una scala, ci introduciamo in giardino, per poi raggiungere la terrazza e recuperare l’imbecille, che non appena Davide lo sfiora, si mette già a fare le fusa.
Salvataggio numero due, senza danni stavolta, e rientro alla base del gruppo al gran completo: gatto, madre, figlio e scala. Spero solo che qualcuno non ci abbia osservati, mentre commettevamo effrazione.
Ma tu guarda: quelli si credono ninja, e poi costringono noi a emulare Arsenio Lupin.
La prossima volta che mi chiedono un gatto, i miei figli, gli porto a casa un peluche. 
Garantito.

Commenti

Post popolari in questo blog

Una vita che non posto: 8 marzo

Una famiglia tradizionale (???)

La Karly mi fa piangere!