The day after

Quanto detesto questi risvegli traumatici. Fanno proprio lunedì mattina.
Mi sono alzata con tutte le ossa rotte – vai a capire perché – scontrandomi immediatamente con il cumulo dei miei compiti, aggravato dalla mia totale inadeguatezza. Una volta di più, mi scopro un disastro.
La colazione si è rivelata occasione utile per realizzare l’annientamento delle scorte di focaccine – sono certa di averne viste parecchie, ieri mattina: ma la domenica è un giorno lungo e ozioso…– mentre il dopo colazione ha visto Jurassico entrare in crisi. Costui si è ritrovato, dopo la doccia, derubato della crema per la sua tendinite: degno di nota il fatto che, anche di quella, fino a ieri esistevano ben due bombolette, conservate in bagno. Sparite. Inutili anche le ricerche fra i medicinali: la solita puntata di Senza Traccia.
Il suo richiamo per aiuto, partito dalle profondità della Stamberga, sembrava più un barrito che un’invocazione: del resto, che torto dargli? Il meschino non sospettava nemmeno che la responsabile dei suoi guai fossi io, ma di essere nei guai era più che certo.
Raggiunto di corsa l’uomo in bagno, mi sono fiondata nel cestino: ivi ricordavo di aver inumato la bomboletta che avevo svuotato. Già: perché tanto amo quell’uomo, da farmi saltar fuori la tendinite esattamente nello stesso posto dove lamenta di averla lui, da qualche settimana. Io la curo con l’antinfiammatorio, ma forse uno strizzacervelli sarebbe più adeguato, come terapia.
Da escludere il forse, e passare difilato alla prenotazione della visita, dopo aver riscontrato quanto segue: nel cestino, le confezioni eliminate erano due. Quella vuota e quella piena. Forse per avvantaggiarmi, le avevo buttate entrambe: sbagliando anche il contenitore, perché quelle vanno smaltite con i farmaci scaduti. Ho fatto l’enplein, insomma.
Tutto ciò sarà forse la conseguenza di un fine settimana denso di eventi: sabato sera, camminata di dieci chilometri, in notturna, con il gruppo atletico  (!) degli iscritti alla piscina dove vado a sguazzare. Sarebbe stata una corsa, ma le mie amiche e io abbiamo deciso per l’opzione passeggiata con ciacoe. Come atlete, non convinciamo per niente: la sottoscritta, anziché appendersi al collo il suo cartellino di partecipazione, lo ha impiccato al nastro. Strappandolo di netto. Uno dei miei istruttori, con aria sconsolata, me l’ha traforato di nuovo, usando la chiave dell’auto come trapano.
Ad aggravare le cose, si è aggiunta un’altra componente del nostro gruppetto, che ha chiesto lumi sull’identità di questo fantomatico Bepi Sarto, cui la corsa era intitolata.
“E’ un benefattore oppure questo è un memorial…?” ha chiesto, garrula, scatenando un mare di risate da parte nostra.
Bepi Sarto, o più correttamente Giuseppe Sarto,  era San Pio X, il papa. Alla donna non era sovvenuto il collegamento.
(Nota per la protagonista dell’impresa, quando leggerà queste righe: non ho scritto il tuo nome. La tua privacy è salva!).
Dopo la corsa, la serata è continuata fino a tarda notte, presso Casa per Caso, con pasta fredda, dolce e prosecchino fresco. Forse l’alcol avrei dovuto evitarlo: da brava imbecille, mi sono dimenticata di offrire il gelato che una delle amiche aveva gentilmente portato prima della corsa. Un titolo me lo sono garantito, nonostante tutto, grazie alla gara podistica: l’oro come Cafona dell’anno. Me misera.
L’indomani, altro bagno di folla. Invitati da amici per una fetta di torta di compleanno, nel primo pomeriggio, siamo rientrati quasi alle undici, dopo un pomeriggio di gozzoviglie non stop. Dolci squisiti, vini ottimi e abbondanti, liquori fatti in casa, pane, salame e formaggi, e chiacchiere non stop.
Il tutto, con contorno di una folla di bambini: otto, in totale. Uno più bello dell’altro, e bravissimi. Non hanno rotto un solo minuto: anzi. Verso sera, sono arrivati i rinforzi: altri tre magnifici esemplari sotto i dieci anni, accompagnati dai genitori. Tutto tranquillo, anche con questi.
Frequentando la gente giusta, ti rendi conto che non tutte le creature sono orde scatenate di barbari, addestrati come distruttori: dell’ambiente e dei cabasisi. Per fortuna, quelli sono una minoranza, anche se non silenziosa.
Da ridere il fatto che le mamme titolari di cotanta figliolanza mi hanno coinvolta, in qualità di esperta, in una specie di simposio su come si riesca a tenere sotto controllo le masnade di figli, dopo il superamento delle barriere di età. Tema del dibattito: Come si sopravvive a una mezza squadra di teen-agers?
Le due uniche reduci del gruppo, la festeggiata e la sottoscritta, si sono lanciate in un duetto, capace di rasserenare – ma solo parzialmente – le giovani mamme di bimbi ancora minori. Noi possiamo testimoniare che le redini si possono reggere sine die: che poi la carretta si diriga in un luogo sicuro, o precipiti in un oscuro burrone, è ancora tutto da vedere.
Il seguito alle prossime puntate, sempre qui, su questo schermo: a Casa per Caso, ci sono traguardi importanti in avvicinamento.
A domani, gente: vado a prendere un Imodium. Pensare a certe cose non mi fa bene. Non mi fa bene per niente.


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