Post

Visualizzazione dei post da maggio, 2011

Dottoressa per un giorno

Il lavoro m’insegue. Fino a ieri pomeriggio sono riuscita a sfuggirgli, ma… stavolta mi ha beccata. Forse. Un collega, temendo di trovarsi presto in crisi con il personale, sabato mi ha telefonato, chiedendomi se mi sia possibile dargli una mano, in caso di emergenza. Fatto salvo il problema che costui esercita a venti chilometri alla Stamberga, la proposta mi ha allettata: gli ho promesso di andare a trovarlo. In forse lui, in forse io, ieri pomeriggio mi sono avventurata sul luogo del delitto. L’idea era di fare una breve perlustrazione e prendere un primo contatto con il titolare: in realtà, mi sono fermata lì tre ore. Dopo due anni di vita in borghese, una full immersion in banco, ricette, perette per clisteri, pannolini, solari e raffreddori. Imbranata come una novellina, non sapevo nemmeno dove fosse l’aspirina, m’intrigavo con lo schermo del PC, terrorizzata di sbagliare uno scontrino. Sulle ricette, per fortuna, non ho perso un filo di smalto: e ci ho messo dieci minuti, a capi

The day after

Quanto detesto questi risvegli traumatici. Fanno proprio lunedì mattina. Mi sono alzata con tutte le ossa rotte – vai a capire perché – scontrandomi immediatamente con il cumulo dei miei compiti, aggravato dalla mia totale inadeguatezza. Una volta di più, mi scopro un disastro. La colazione si è rivelata occasione utile per realizzare l’annientamento delle scorte di focaccine – sono certa di averne viste parecchie, ieri mattina: ma la domenica è un giorno lungo e ozioso…– mentre il dopo colazione ha visto Jurassico entrare in crisi. Costui si è ritrovato, dopo la doccia, derubato della crema per la sua tendinite: degno di nota il fatto che, anche di quella, fino a ieri esistevano ben due bombolette, conservate in bagno. Sparite. Inutili anche le ricerche fra i medicinali: la solita puntata di Senza Traccia. Il suo richiamo per aiuto, partito dalle profondità della Stamberga, sembrava più un barrito che un’invocazione: del resto, che torto dargli? Il meschino non sospettava nemmeno che

Fashion victims

I l maggiore, faccia annerita dalla barba di tre giorni, un paio di calzoncini risalenti al Cretaceo e una maglietta decennale, con logo di Praga vistosamente scrostato, afferra le chiavi dell’auto e fa per uscire. “Dove vai combinato così?” “A vedere se trovo ‘sta benedetta cerniera…” mi risponde, agitando un oggetto metallico. Fra i tanti eventi abbattutisi sulla Stamberga, vi è anche il cedimento di uno sportello della cucina. Naturalmente, si tratta di quello che celerebbe le pattumiere: i gatti fanno una festa, ogni volta che entrano in casa. C’è sempre qualche leccornia da rubare, dal secchio dell’umido. Quanto a me, è una vera gioia la lotta impari contro gli effluvi che si espandono dal secchio e le file di formiche che cercano di raggiungerlo. Poiché le disgrazie non vengono mai sole, il pezzo di ricambio non sembra più reperibile, almeno nel raggio di dieci chilometri. Pare che a trenta, invece, ci sia il produttore che lo tiene a catalogo: la belva affronta il traffico, per

Prese di coscienza a margine di un diluvio

Quando una si vede sulla terrazza del suo gabinetto, intorcinata in una vestaglia dall’allaccio incasinato, struccata, scapigliata e intenta a stendere stracci, pescandoli da una cesta appoggiata sul water, tende all’evasione. Mentale, almeno: ‘sta vita da cenerentola -  in un look da zucca -  è troppo deprimente. Forse non dovrei rendervi partecipi di un delirio partito da una simile location, ma ve ne ho dette tante, ormai... Finalmente, dopo essermelo chiesto a più riprese, mi sono resa conto del perché mi piace tanto tenere questo blog, e più in generale cosa mi spinga a scrivere “in pubblico”.   Perché per me la scrittura è come la cucina: passione e divertimento. E come mi piace invitare i miei amici alla mia tavola, perché so di farli contenti, così mi dà una grande soddisfazione sapere che ci sono persone cui leggermi regala un momento di serenità: è un po’ come se foste tutti ospiti a Casa per Caso. I vostri commenti e le conversazioni che si avviano, in calce ai miei post, mi

Sugar, oh, honey honey...

E' giunta l'ora dell'autocritica. Affrontiamo la realtà e d iciamolo apertamente: 'sto blog non funziona. Non funziona per niente. E' zuccheroso. Troppo scherzoso, anche. Per non parlare dell'esagerata felicità che affligge chi scrive: mi è stata rimproverata anche quella. E ai miei amici che commentano, si pesano le parole... che non ne dicano troppe, o non le scelgano male.  Hanno ragione tutte: è ora di cambiare registro. Selezioniamo gli argomenti, decidiamo cosa dire e non dire, per non scontentare questi acuti censori.  Vediamo un po'... Ecco, questo, per esempio, non ve lo dico. Non vi dico che ieri mio marito e io ci siamo addormentati stringendoci la mano, e che al mio risveglio - palpebra a mezz'asta e ciuffi multidirezionali in testa - mi ha salutato con un "Ciao, splendida!", iniziando la giornata con un abbraccio affettuoso. Come fa sempre, del resto.  Troppo sdolcinato: si fa ma non si dice.  Nasconderò la mia pessima abitudine di

Avvocati del diavolo & maschi in branco

“Mamma, mamma! Ho preso sette in grammatica! Analisi logica e del periodo: sul programma di due anni…” “Caspita, giovanotto: complimenti! Il lavoro fatto assieme ha portato i suoi frutti, vedo… E ti sei dato parecchio da fare anche da solo. Mi compiaccio di te.” “Ecco, appunto: parliamone, di questa cosa. Chi è che prevedeva una disfatta, nel compito di oggi?” “Non io. L’ho anche detto, a tuo padre, che l’incxxxra preventiva è inutile…” E qui, deciso, interviene l’interessato: “Io intendo far capire ai miei figli questo concetto: nella vita, la fiducia si conquista a fatica, si perde in un attimo e riconquistarla è un’impresa!” Il gaglioffo rimane interdetto, ma recupera quasi all’istante: “Ti pareva. Ho sempre torto io! E tu, che mi dovevi tagliare la connessione, estirpare la web-cam, cancellare dalla faccia del web? Tu e le tue minacce!” si rivolge a me, provocatorio. “Non erano minacce. Erano educati avvisi: che poi non venga fuori che non eri stato avvertito. Stai a casa dall’a

Levatemi la patente

E ’ successo di nuovo. Odio doverlo ammettere, specialmente in questa sede, ma è successo un’altra volta. Ho sbocciato una povera crista in parcheggio. Una signora carina, educata e gentile, al punto da dirmi – dopo che le ho sfondato due portiere – “Signora, quando mi dispiace averla conosciuta in queste circostanze…”, frase in grado di farmi sentire un lombrico. Ancora di più, se possibile. Almeno fosse stata una strega: no, Biancaneve. Biancaneve, dovevo andare a investire con la mia corazzata, accidenti a me. I fatti: faccio per uscire da un posteggio, in retromarcia. Controllo i quattro lati dell’auto: attorno a me, il deserto. Il sensore di posteggio tace, gli specchietti riflettono un nulla alquanto rassicurante. Stacco la frizione con lentezza, spostandomi di trenta centimetri: a quel punto, il montante dell’auto mi blocca la visuale da sopra la spalla. Controllo lo specchietto, sempre vuoto, e con gli occhi fissi su di esso faccio altri dieci centimetri, nel silenzio più total

Rinnovo della patente

Su gentile richiesta dell’interessato, accompagno il marito a rinnovare la patente. Mi trovo così rinchiusa in una stanza disadorna, in assenza di qualsiasi mezzo di sussistenza – giornali, riviste, un misero libro in edizione economica… – con una buona mezz’ora di attesa davanti. Non rimanendomi molto altro da fare, mi dedico alle osservazioni antropologiche. Uno dopo l’altro, veniamo ammassati tutti nella stanza dove, evidentemente, si tengono le lezioni di teoria: i cartelloni appesi alle pareti sono sempre gli stessi da trent’anni, credo, come anche le sedie e i banchetti. Unica concessione alla modernità, una fila di monitor, dove scorrono i quiz dell’esame. Una serie di discenti è inchiodata alle tastiere, mouse alla mano, in uno stato di preoccupante immobilità. Non muovono muscolo: si concentrano sull’immagine restituita dallo schermo, che fissano con aria aggrondata, senza osare il minimo click. Ogni tanto, si scambiano qualche battuta, con aria preoccupata: mi auguro solo sia