Traduzioni improbabili

"Non male quel semintegrale della Adria, ieri, all'open day..." ciarlo io, cercando di districare il cespuglio che ho in testa. Ma cosa fanno, di notte, i miei capelli? Wrestling?
"Che open day?" è la perplessa risposta di Jurassico, intento a radersi.
"Come, che open day! Mi hai fatto scarpinare per quindici km, per portarmici, e adesso mi chiedi che cos'era?" ribatto, indignata. 
"Ma io ti ho portato a un porte aperte..." ribatte Jurassico, fissandomi con la faccia da neurologo. 
Nononono, la faccia da neurologo, no! penso io. 
Quando la mia confusione mentale supera lo standard che considera normale, quello comincia a scandagliarmi gli occhi con lo sguardo, cercando qualche segnale. Qualche segnale che le ultime sinapsi rimaste hanno smesso di funzionare, probabilmente. 
Mi sottraggo allo sguardo indagatore, ragionando ad alta voce: "Ecco perché qualcuno mi ha chiesto cos'era, un open day dei camper..."
"Ma certo che te lo chiedono. Devi essere precisa, sennò la gente non capisce!" mi rimprovera. 
Insistente. Certo che non me ne fa passare una, questo... mi lamento fra me e me, senza osare un fiato. Quando ha ragione, ha ragione: inutile tentare un'impossibile difesa. L'open day lo fanno le scuole, non i concessionari.
La butto sul noncurante: "Beh, è un blog di c...te. Una più, una meno, cosa cambia?"
Finisco incenerita da una sua occhiata di fuoco e me la dò a gambe. 

Certo che non guarirò mai, da questa mania di creare neologismi e di azzardare impossibili traslazioni da una lingua all'altra: già, perchè non di traduzioni si tratta. Una traduzione prevede che quel che dici abbia un senso compiuto: invece, io faccio come quella mia prof d'Inglese, che tradusse of course (naturalmente, n.d.A.) con del corso. 
Memorabile quella volta che risposi al prof di Farmaceutica 2, sotto esame, con un entusiastico "Infattamente!"
Ricordo ancora il suo sguardo sbalordito. Inutile dire che fui costretta a ripetere l'esame: Cetto La Qualunque era di là da venire. Non mi fu concessa comprensione alcuna. 
Del resto, mia madre è una capace di rilasciare dichiarazioni del tipo: "E adesso, mi fetto una tostina!", mentre mio figlio fa anche di peggio. 
Ieri sera, chiedevo a Jurassico come si chiama sua cugina, quella che vive in America: "Mi aveva chiesto se sono su FB: adesso che ci sono, magari la chiamo."
"Sì, chiamala. Così poi leggono il tuo blog anche in America..." ridacchia lui.
Il manigoldo: "Papà, chi legge un blog in italiano, in America???"
Jurassico: "Ma che dici? E' pieno di Italiani!"
La belva: "Ah, già! Dimenticavo... C'è Italiatown!"
Ecco. Sulla scorta di Chinatown, il passo da Little Italy a Italiatown è breve. 
Almeno per chi condivide il mio DNA: è una malattia genetica. Ne ho le prove.


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